68° Settimana Musicale Senese - 12 luglio 2011
LA FEDE NE' TRADIMENTI di Girolamo Gigli e Attilio Ariosti
'La fede ne' tradimenti' è uno dei tanti libretti che il senese Girolamo Gigli scrisse per le rappresentazioni degli allievi del Collegio dei Gesuiti della sua città, sul finire del Seicento; e senza dubbio uno dei suoi più felici, quantomeno a giudicare dalla notevole circolazione in Europa, e dalla quantità di compositori che ne intonarono i versi: tra gli altri Caldara, Sarri, Pollarolo ed il bolognese Attilio Ariosti (1666-1729), autore della versione presentata al Teatro dei Rozzi di Siena in prima ripresa italiana moderna, nella versione critica a cura della Akademie für historische Aufführungspraxis di Berlino.
Il carattere letterario del testo appare bivalente: se a prima vista assomiglierebbe ad un'ennesima rilettura di gesta cavalleresche e schermaglie d'amore ambientate in una Spagna ancora in lotta con i Mori, ben presto si rivela evidente l'intenzione del Gigli di farne invece di quella una sottile parodia: rivelando in tal modo, anche in questo contesto 'minore', il carattere mordace e satirico tipico della sua produzione letteraria, che gli ottenne gli strali infuriati delle Autorità. Al punto di fargli perdere tutti i suoi incarichi pubblici, dalle cattedre universitarie al seggio meritevolmente ottenuto nelle più prestigiose Accademie della sua epoca, vale a dire gli Intronati, l'Arcadia e la Crusca; sino a subire l'onta dell'espulsione dalla sua Toscana e dagli Stati della Chiesa.
Ma neppure l'Ariosti, che nel 1701 riprese il testo de 'La fede ne' tradimenti' per la Corte prussiana di Federico I° e Sofia Carlotta di Hannover, si poteva dire uno stinco di santo. Carattere libero e indipendente, era entrato a 22 anni a far parte dei Serviti, ma non prese mai gli ordini maggiori; nel 1696 ottenne il permesso di recarsi a servizio della corte di Mantova, e passò di qui appunto a Berlino, dove ricevette dai sovrani un trattamento munifico. Richiamato ripetutamente in patria dai superiori, di malavoglia fece ritorno nel 1709 a Bologna, non prima però d'aver sostato un anno a Vienna. Scompare dalle cronache poi per qualche anno. Espulso, come qualcuno sostiene, anch'esso dai severi Stati pontifici, dopo aver girovagato in Germania ed a Parigi approdò infine nel 1716 a Londra dove si costruì una solida posizione come operista, lavorando accanto ad Haendel e Bononcini. Qui la sua stella brillò sino al 1728, quando dovette lasciare l'Inghilterra; i suoi ultimi anni di vita si perdono nell'oscurità di notizie, e morì forse nel 1740 in quel di Madrid.
Scritta in uno stile marcatamente veneziano, 'La fede ne' tradimenti' fu il primo melodramma italiano apparso alla importante corte di Prussia: però il trattamento dei vari numeri musicali operato dall'Ariosti si distacca nettamente dalla serialità che contraddistingue la maggioranza dei melodrammi di produzione coeva, anche se ascrivibili talora a nomi prestigiosi. Maggiormente variato il carattere, la strumentazione e la struttura delle arie e dei duetti, con il ricorso ad oboi e flauti anche in versione solistica; e più ricca ed articolata tutta la scrittura delle parti vocali, là dove pare prestarsi molto riguardo alle finalità espressive, e un po' meno attenzione al virtuosismo pensato per sé stesso. In poche parole, maggior fantasia e libertà di linguaggio, per una appassionante riscoperta resa ancor più preziosa a Siena da un'esecuzione che vedeva nel magistrale e fantasioso sostegno strumentale dell'Europa Galante - ensamble di qualità eccezionale - e del suo direttore/violinista Fabio Biondi il suo massimo punto di forza. Né da meno si potevano dire i solisti di canto: le due soprano Roberta Invernizzi (Anagilda) e Lucia Cirillo (Elvira), ed il mezzosoprano Marianne Beate Kielland (Fernando di Castiglia), salde specialiste della vocalità barocca, apparivano perfettamente adeguate al loro compito; assai meno convincente, purtroppo, la prestazione del basso-baritono Johannes Weisser, che si abbandonava ad una sgraziata e vociferante lettura del personaggio del re di Navarra Garzia.
Tenuto conto dell'esiguità del palcoscenico del Teatro dei Rozzi, scenicamente poco si poteva fare; Denis Krief - autore di regia, scene, costumi e luci - ha cercato ad ogni modo di offrire allo spettatore una minima lettura visiva della vicenda, riuscendovi assai felicemente.
68° Settimana Musicale Senese - 11 luglio 2011
FAUST di Silvia Colasanti
Le due serate centrali della 68° Settimana Musicale Senese conducevano lo spettatore ad un curioso raffronto tra antico e contemporaneo: tre secoli ed un decennio giusto separano infatti il ’dramma per musica' in tre atti 'La fede ne' tradimenti' di Attilio Ariosti risalente al 1701, dal 'Faust' della compositrice romana Silvia Colasanti; opera questa commissionata dall'Accademia Musicale Chigiana, e presentata in prima esecuzione assoluta al Teatro dei Rinnovati in Siena proseguendo la recente tradizione che vede ad ogni nuova edizione della Settimana Musicale apparire un nuovissimo (o quantomeno inedito) lavoro per il teatro.
Silvia Colasanti proprio nell'ambito dei corsi senesi dell'Accademia Chigiana è stata allieva di Azio Corghi, e in qualche modo lo si avverte: per l'asciuttezza lessicale, per la ricerca timbrica, per una certa inclinazione ad un discorso ricco di poliarmonie e poliritmie. Questo suo recentissimo lavoro, definito "Tragedia soggettiva con musica per attore, soprano e otto strumentisti" poggia su alcune stupende liriche di Fernando Pessoa tratte dalla raccolta postuma 'Fausto. Tragédia Subjectiva', pubblicata in Italia da Einaudi, nelle quali si scopre un Faust disincantato e disilluso - palesemente lo stesso scrittore, carattere complesso e sottilmente introverso - porsi in un emblematico confronto con un'Entità superiore, interrogandola e interrogandosi sulla sua incapacità di amare, e di comprendere un universo apparentemente senza confini. Ma di veramente teatrale, questo ennesimo 'Faust' possiede ben poco, al di là della scansione in diciotto «scene», corrispondenti ad altrettanti passaggi della raccolta. In effetti, nell'esecuzione senese la forma appare come quella di un moderno melologo, nel quale la voce recitante di Ferdinando Bruni era impegnata nella lettura (lettura sì, neppure recitazione!) dei versi di Pessoa, accompagnata in sottofondo da un commento strumentale in cui un violoncello spesso concertante pare assumere il ruolo di alter ego del lettore - e quindi di Pessoa stesso. Alla voce cantante restano consegnati limitatissimi interventi - appena uno smilzo arioso all'inizio ed un altro alla fine, e rare battute concesse qua e là - affidati alla voce sopranile di Laura Catrani. Neppure con uno immane sforzo di volontà dunque si può attribuirle una qualche forma drammatica, intesa nell'accezione più elementare di fatti in divenire, o di confronto/conflitto d'emozioni o di caratteri. E difatti la regia di Francesco Frongia, coadiuvata dalle scene e luci di Nando Frigerio, ha compiuto salti mortali per conferire un minimo di aspetto drammaturgico alla partitura della Colasanti - assai più adatta ad una sala da concerto che alla raffigurazione scenica - affidando un vago ruolo narrativo alle suggestive video proiezioni. Lavoro anche attraente, per certi versi - la scrittura strumentale vi è molto raffinata - ma per altri abbastanza inutile, parendo una replica di cose già sentite. Né l'ha salvato da sollevare un sottile senso di monotonia la duttile eleganza e l'estrema bravura dell'Icarus Ensamble diretto con fine sensibilità da Gabriele Bonolis (Raffaello Negri e Marco Fusi violini, Paolo Fumagalli viola, Giorgio Casati violoncello, Mirco Ghirardini clarinetto, Franco Fusi fagotto, Elena Gorna arpa, Simone Beneventi percussioni varie).